Il Comune non può disporre la chiusura totale dell’attività per abusi edilizi limitati a parte dei locali
- Guglielmo Saporito
- 23 mag
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di Guglielmo Saporito

Se la sede di un’attività di ristorazione presenta irregolarità edilizie, il Comune non può disporre la totale chiusura dell’attività economica, se può vietare l’accesso ai soli locali interessati dagli abusi.
Questo il principio affermato dal Tar Palermo (ordinanza cautelare 21 maggio 2025, n. 263), che ha sospeso il provvedimento comunale che ordinava la chiusura immediata di un ristorante giapponese: nel locale vi era, infatti, un piano soppalcato, utilizzato come sala di ristorazione, di altezza inferiore alle misure minime previste dal regolamento comunale per svolgere un’attività commerciale.
Nell'ordinamento italiano, il Comune è l’autorità competente a vigilare sulla regolarità urbanistica ed edilizia delle attività commerciali. In caso siano riscontrate irregolarità, l’Amministrazione comunale può quindi adottare provvedimenti sanzionatori, ordinando lavori di ripristino della regolarità, inibendo l’uso dei locali e irrogando sanzioni pecuniarie.
Tali poteri di controllo e sanzione devono, tuttavia, esercitarsi secondo regole precise. L’art. 1, comma 1, legge n. 241/1990 dispone, infatti, che l’attività amministrativa deve svolgersi secondo le modalità fissate dalla legge e dai principi dell’ordinamento comunitario, compreso il principio di proporzionalità. Di conseguenza, secondo il Tar, che richiama alcuni orientamenti precedenti (sentenza 30 aprile 2025, n. 930):
“è dovere della P.A. d’investigare costantemente – mercé l’effettivo bilanciamento degli interessi contrapposti rilevanti nel caso oggetto delle sue determinazioni - tutte le alternative possibili alla propria azione, con l’obiettivo di identificare la soluzione che rispetti il parametro della necessità rispetto alle peculiarità della fattispecie concreta. In altri termini, tra più mezzi utilizzabili per il raggiungimento dei propri scopi la P.A. deve fare uso di quello più mite rispetto ai contrapposti interessi secondari dei privati, il cd. minimo mezzo”.
Nel caso deciso dal Tar Palermo, sarebbe stato sufficiente inibire l’attività di ristorazione esclusivamente nel piano soppalcato, consentendo così la prosecuzione dell’attività nei restanti locali del ristorante. Adottando, invece, un provvedimento interdittivo con riguardo all’attività di ristorazione considerata nel suo complesso, senza distinzione tra locali regolari dal punto di vista urbanistico/edilizio e locali abusivi, il provvedimento comunale risulta illegittimo e sproporzionato.
In sintesi, se vi sono abusi o irregolarità edilizie soltanto in alcuni ambienti della sede di un’attività commerciale, l’Amministrazione non può disporre la totale chiusura dell’attività, ma soltanto vietare l’accesso ai locali abusivi.
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