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Il controllo della Prefettura può salvare dalle sanzioni antimafia

  • Guglielmo Saporito
  • 3 gen
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 13 mar

di Guglielmo Saporito


Bilancia e martello come simboli della giustizia

Prima di espellere un’impresa dal mercato, occorre metterla alla prova: lo sottolinea il TAR Parma (ordinanza 162/2024, Pres. Caso, Est. Luperto) nella delicata materia dei controlli antimafia.


La locale Prefettura aveva emesso un’interdittiva nei confronti di un’impresa ritenuta a rischio di infiltrazioni mafiose, ma il TAR ha sospeso il provvedimento, da un lato richiamando il criterio di proporzionalità e dall’altro sollecitando una verifica sulla possibilità di adottare temporanee e meno invasive misure di prevenzione. Il Codice antimafia (D.lgs. 159/2011) consente al Prefetto di tener presenti vari tipi di misure, prima di espellere l’impresa dal mercato. Le misure più severe (l’interdittiva e la cancellazione da white list) scattano in caso di attività gravemente compromessa da un’infiltrazione mafiosa; invece, nei casi di “agevolazione occasionale” (isolati rapporti economici, contatti remoti), è possibile applicare temporanee forme di “prevenzione collaborativa” (art. 94-bis).


Secondo il TAR, va preferita la scelta di misure meno invasive, se l’impresa dimostra l’assenza di legami compromettenti e chiede alla Prefettura un periodo di “messa alla prova” (da 6 a 12 mesi). Durante tale periodo, l’impresa può continuare ad operare sul mercato, seppur con la vigilanza di professionisti (nominati dal Prefetto e pagati dall’impresa), ed adottando misure di self-cleaning, quali la sostituzione di amministratori compromessi. La novità espressa dal TAR Parma consiste appunto nel colloquio tra giudice e Prefettura, sotto forma di invito all’Amministrazione affinché approfondisca (in tempi rapidi, 45 giorni) se il rischio di contaminazione mafiosa scaturisca da circostanze occasionali (generando un controllo temporaneo) o da comportamenti ed abitudini radicate (generando un’interdittiva assoluta). Ciò è coerente alla diffusione di scelte collaborative antecedenti le sanzioni: nel campo fiscale, si garantisce immunità alle imprese che collaborano comunicando preventivamente sia le proprie operazioni fiscali aggressive e la propensione ai rischi (risk appetite), sia i rimedi proposti (D.Lgs. 128/2015, tax control framework). Vi sono poi “piani rimediali”, adottati dalle imprese in settori a rischio di sfruttamento della manodopera (logistica, mercati, vigilanza, bevande), semmai su invito degli ispettori del lavoro (Cons. Stato 2778/2024). Per evitare sanzioni che paralizzino l’attività, le imprese giocano quindi d’anticipo, facendosi validare modelli organizzativi o chiedendo pareri preventivi (ad esempio, all’Antitrust, D.l. 211/2011). In questo modo si cerca di evitare danni reputazionali e sanzioni di nuovo calibro, quali il divieto di pubblicità (art. 9 D.Lgs. 231/2001).


Il settore dell’antimafia continua così a generare ambiti di “legalità controllata” (Corte cost. 101/2023) in cui l’impresa, per differire dapprima, ed evitare poi l’interdizione (in caso di controllo favorevole), si sottopone (a proprie spese) ad una vigilanza collaborativa pur di restare sul mercato. Questo periodo di vigilanza, sottolinea il TAR esprimendo un principio generale, può anche essere negato dall’amministrazione (Prefettura, Fisco, Giudice, Antitrust), ma solo se vi sono elementi certi di irrecuperabile illegalità.

 
 
 

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