Cambio di cognome: legittimo il diniego di modifica se il richiedente scelte un cognome dalle caratteristiche straniere
- Filippo Di Mauro
- 29 lug
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di Filippo Di Mauro

Il caso: soprannomi ridicoli e disagio per le proprie origini
Un cittadino di origini rumene ha chiesto di sostituire il proprio cognome con "Gecko". La richiesta nasceva dal profondo disagio derivante dal cognome attuale, oggetto di scherno sin dall'infanzia: ad esempio, una volta scoperte le prime tre lettere del codice fiscale (RSU), il richiedente ha raccontato episodi di associazione del cognome all’acronimo RSU (Rifiuti Solidi Urbani).
Inoltre, la modifica del cognome sarebbe stata occasione per allontanarsi dalle origini rumene e dal difficile rapporto con il padre. A supporto dell’istanza, il richiedente aveva presentato una relazione psicoterapeutica che attestava un "disturbo post traumatico complesso" riconducibile ai maltrattamenti subiti in famiglia e al bullismo per le sue origini.
Da qui, la richiesta di modifica del cognome in "Gecko" (derivante proprio dal rettile), animale ammirato dal richiedente.
Le regole per cambiare le generalità
In generale, ogni cambiamento del nome (o del cognome) è consentito solo se si fondi su ragioni obiettivamente rilevanti, adeguatamente documentate e supportate: solo valide ragioni possono, infatti, derogare la regola che vuole immutabile il nome ed il cognome.
La valutazione del Prefetto in merito all'istanza di cambio del cognome si configura come un potere discrezionale, che deve bilanciare l'interesse dell'istante con l'interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale, da cui dipende la certezza degli atti e dei rapporti giuridici.
Nel caso in esame, nessuna valida ragione è stata ravvisata dal Prefetto, che ha pertanto respinto la domanda. Secondo la Prefettura, non vi erano prove concrete e sufficienti per sul disagio effettivo:
secondo il sito Forebears, il cognome originario risultava essere diffuso in Italia, in particolar modo in Lombardia ed Emilia Romagna, mentre il cognome “Gecko” sarebbe diffuso in Paesi esteri (quali Repubblica Ceca e Canada), ma non in Italiano;
non vi erano documenti attestanti il difficile rapporto con il padre, nonché l’impossibilità di scegliere il proprio cognome sulla base di una generica preferenza per una specie animale.
il cognome scelto conteneva lettere e fonemi non appartenenti all’alfabeto italiano (la lettera “k” e la consecuzione delle due consonanti “ck”).
Per la Prefettura, non vi era coerenza tra la volontà di integrazione in Italia e la scelta di un cognome di matrice non italiana come "Gecko". Da qui, il rigetto della domanda di modifica.
Le motivazioni del TAR: incoerenze e mancanza di prove
Il Tar Brescia (sentenza 28 luglio 2025, n. 721) ha condiviso le argomentazioni della Prefettura, respingendo il ricorso. In particolare, i motivi della decisione possono essere così riassunti:
Cittadinanza: il Tar Brescia ha osservato come il ricorrente sia cittadino italiano e da circa trent’anni porta quel cognome in Italia. Ciò rendeva "scarsamente comprensibili" alcune affermazioni della relazione clinica che lo dipingevano come un individuo alla ricerca di integrazione.
Scelta del cognome: la sostituzione del suo cognome attuale, comunque di pretta matrice neolatina (e ormai alquanto diffuso in Italia) con altro cognome “Gecko” (che indica un particolare ordine di lucertole nella sua forma anglosassone), e che dunque lo farebbe risultare “alieno” nel nostro Paese, se addirittura non suonerebbe “ridicolo”;
Mancanza di prove sul rapporto familiare: non è stato fornito alcun elemento a conferma delle affermazioni sull’inesistente o, quantomeno, difficile rapporto con il padre o sull'abbandono da parte della madre;
Smentita dell'esperienza in orfanotrofio: il certificato di residenza storico ha rivelato che il ricorrente aveva trascorso in Romania solo pochi mesi (in età compresa tra i 4 e i 5 anni), smentendo la presunta permanenza in orfanotrofio e minimizzando la rilevanza di tale esperienza.
Inattendibilità delle relazioni psicoterapeutiche: le dichiarazioni del terapeuta, presumibilmente desunte dai racconti del paziente, erano prive di riferimenti temporali e fattuali, sufficientemente precisi e dettagliati. Esse andavano, perciò, qualificate come espressione di mera valutazione soggettiva, ovvero di testimonianze de relato, ed erano dunque prive di reale valore probatorio.
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