L'efficacia di un giudizio cautelare penale sugli accertamenti amministrativi antimafia
- Filippo Di Mauro
- 14 lug
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di Filippo Di Mauro e Guglielmo Saporito

Un contrasto verbale tra venditori ambulanti di panini induce il GIP ad adottare misure cautelari personali (quali, il divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale): tra le parti sono, infatti, volate parole grosse, con accenni ad atteggiamenti mafiosi (quest’ultimi, comunque, poi esclusi dalla Cassazione).
Nel frattempo, il Prefetto nega ad uno dei venditori l'iscrizione in white list, richiamando lo stesso episodio, ma senza tener presente l'orientamento nel frattempo espresso dalla Cassazione. Il destinatario del diniego di white list, ricorrendo al giudice amministrativo, impugna il diniego lamentando l'omessa considerazione del giudicato cautelare penale, formatosi sulla misura disposta dal Gip ed annullata dalla Cassazione.
Su questa trama, il Consiglio di giustizia amministrativa (448/2025) esprime le proprie idee sul rapporto tra le valutazioni del giudice penale e gli approfondimenti riservati alla Prefettura, affermando di volersi allontanare da quella che è definita una “stanca e comoda affermazione”. Non basta, secondo il Consiglio di giustizia, adagiarsi sulla consolidata, differente regola di giudizio tra pronunce del giudice penale e del Prefetto: non basta, cioè, a far coesistere due diversi giudizi affermando, che la giurisdizione penale applica il principio del giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio", mentre l'autorità amministrativa, in sede antimafia, applica il principio del "più probabile che non".
Pur esprimendo il Prefetto una tutela avanzata (e urgente) verso i fenomeni mafiosi, ciò non può - secondo i giudici amministrativi - generare un metro diverso di valutazione degli stessi fatti, dando risalto (nel provvedimento di diniego di white list) agli indizi, ma trascurando che il giudice penale abbia già negato spessore agli stessi indizi, con pronuncia per di più passata in giudicato (seppur solo cautelare, cioè sulle misure cautelari personali).
Alla base di ambedue le valutazioni (sullo stesso fatto) vi è un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza su indizi gravi, precisi e concordanti. La Prefettura, infatti, nell’adottare la misura interdittiva, opera attraverso “strumenti” (indizi) analoghi a quelli che sono stati già utilizzati dal giudice penale in sede cautelare.
Sicché, se una condotta non stata è ritenuta sufficientemente provata in sede cautelare penale, non può essere considerata “di peso” in sede di informativa antimafia: diversamente, vi sarebbe un deficit sistemico di ragionevolezza dell’ordinamento giuridico inteso nel suo complesso. La circostanza che l'interdittiva esprima un elevato grado di probabilità, non solleva il Prefetto dall'onere di valutare le conclusioni cui è giunto il giudice penale, anche se queste conclusioni riguardino misure cautelari personali. Con questo ragionamento, quindi, si dà peso particolare a tutti gli accertamenti penali, anche a quelli su misure cautelari personali.
Nella stessa logica, del resto, si dà rilievo anche agli esiti dei controlli giudiziari ex art. 34-bis D.l.gs. 159/2011, tutte le volte che le vicende tornino al vaglio della Prefettura.




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